Un anno terribile se ne va: restiamo portatori di gratitudine

Siamo stati pensati prima che imparassimo a pensare; siamo stati amati prima che imparassimo ad amare; siamo stati desiderati prima che nel nostro cuore spuntasse un desiderio. Se guardiamo la vita così, allora il “grazie” diventa il motivo conduttore delle nostre giornate. Tante volte dimentichiamo pure di dire “grazie”.

Partono da qui i pensieri sparsi di questa fine d’anno; dalle parole che Papa Francesco ha pronunciato nella bellissima riflessione condotta nell’udienza generale di ieri mercoledì 30, ultima di questo 2020: “…Vivere è anzitutto aver ricevuto la vita. Tutti nasciamo perché qualcuno ha desiderato per noi la vita. E questo è solo il primo di una lunga serie di debiti che contraiamo vivendo. Debiti di riconoscenza. Nella nostra esistenza, più di una persona ci ha guardato con occhi puri, gratuitamente, ha ancora detto Francesco…”

Quanti “grazie” non detti?!! E quanti “sguardi” gratuiti passati inosservati??!! E quanti hanno invece percorso questo 2020 tristemente indimenticabile?!!

Un anno nuovo si affaccia all’orizzonte, ma inevitabilmente il pensiero corre a questo che sta per finire… Un anno difficile fatto di sofferenza, lacrime, privazioni; un anno che ha lasciato e lascerà in noi ferite profonde: negli annali passerà alla storia come quello del distanziamento sociale, delle mascherine, degli abbracci mancati, delle serrande abbassate, delle giornate senza amici e parenti lontani, dei mezzi dell’esercito che hanno sfilato in una processione di morte a Bergamo, del Papa, solo, che percorre i gradini della Basilica di S. Pietro per strappare al Crocifisso la fine della pandemia, dell’arrivo del vaccino… Un anno che ha costretto in tanti a dire addio alle persone care lasciate nella solitudine di un letto d’ospedale, che ha stravolto vite, che ha creato nuovi poveri, che ha lasciato chi era già solo, sempre più solo e che ha fermato definitivamente il tempo per 70mila vittime.

Un anno che ci ha rieducato ad una parola dimenticata come “grazie”, una parola che ha percorso mai come ora in lungo e largo le corsie degli ospedali, le strade lungo le quali si sono spostati forze dell’ordine e camionisti, autisti e ambulanze, insegnanti e salumieri, volontari e professionisti. L’ Italia quella del fare senza sbraitare, nel nascondimento e nell’operosità. Un anno che nonostante tutto ci chiede di andare “oltre” di far prevalere la gratitudine e la riconoscenza per quanti si sono adoperati ad allievare sofferenze, a farsi prossimo. E’  il momento per dire grazie, a te che leggi, a me che scrivo, per aver scoperto o riscoperto che il mondo è una grande casa, che non ci salviamo da soli, che c’è sempre un motivo o un attimo per alzare gli occhi al cielo.

Fiumi di parole scritte e urlate da esperti e non, politici e medici, opinionisti, novax e provax, scuole aperte e chiuse… Tutto annullato in un pezzetto di stoffa che ci ha coperto il viso e obbliga a guardarci negli occhi. Ci pensavo ieri alla Conad mentre compravo il pane ed ho incrociato lo sguardo di una vecchina lì accanto, e con la quale ci siamo scambiate un sorriso …Di occhi! Quanti occhi incrociati durante le nostre giornate e non ce ne accorgevamo, ce ne sfuggiva la profondità! Ora invece siamo costretti a separarci dall’atavico imbarazzo di “insistere” nello scrutarci e scopriamo, riscopriamo sia pure in parte, dei volti. Perché sì, ora che ci incontriamo mascherati come siamo, non abbiamo altra scelta che di “piantarci” lì, occhi negli occhi. Un’abitudine per la verità che mi appartiene da sempre perché mi affascina scrutare i volti, le rughe, gli sguardi, capire e intuire come la vita ci cambia, si nasconde tra le pieghe agli angoli degli occhi e parla di noi, di quella faccia che, diceva qualcuno, “ho messo una vita a confezionare”.

Sguardi spenti, sfuggenti o indifferenti e sguardi persi nel vuoto come quello degli anziani soli che si trascinano stanchi temendo la solitudine e l’abbandono, o quelli delusi di chi ha perso il lavoro, o terrorizzati dei tanti giovani che hanno perso i genitori a causa di questo maledetto virus.

Se un merito possiamo attribuire a questo infida pandemia è che sopra a questa maschera, abbiamo imparato a guardarci negli occhi, a cercarci con gli occhi. Un esercizio di umanità il riconoscerci in uno sguardo, in silenzio, sconosciuti eppure vicini, uniti, nel profondo bisogno di normalità, quella che prima ci appariva scontata: “eravamo felici e non lo sapevamo” mi diceva ieri un amico.

“Non tralasciamo di ringraziare: se siamo portatori di gratitudine, anche il mondo diventa migliore, magari anche solo di poco, ma è ciò che basta per trasmettergli un po’ di speranza” ha anche detto ieri Francesco.

Dunque, portatori sani di gratitudine, restando legati gli uni gli altri con un sguardo che è condivisione, facendo ciascuno la propria parte là dove ci si trova: guardando con occhi nuovi il nostro prossimo, riuscendo finalmente a comprendere che ognuno di noi non è altro che il riflesso degli altri e che quanto di bello e buono ci circonda, in noi si riflette.

Un buon anno di vera speranza.

Luisa Loredana Vercillo

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